Infrastrutture: la blockchain non è un alibi

Le suggestioni generate dal sistema di gestione peer to peer reso celebre dai Bitcoin e dalle altre monete virtuali sta progressivamente attraversando ambiti diversi, che comprendono un ampio spettro che parte dal settore finanziario per arrivare a quello dell’e-voting.

Come accade spesso, però, l’entusiasmo per una nuova filosofia rischia di portare a conclusioni affrettate. ll miraggio che la blockchain possa rappresentare una scorciatoia per gestire sistemi complessi attraverso infrastrutture più semplici (o più deboli), però, è destinato a rimanere tale. Se la logica della “collaborazione” può essere vista come uno strumento per amplificare l’efficacia degli strumenti di comunicazione ed elaborazione, resta il fatto che anche in un ambiente collaborativo elementi come la capacità computazionale e l’affidabilità delle infrastrutture continuano a fare la differenza.

Era vero quando il peer to peer serviva a scambiare MP3 e DIVX (per chi se lo ricorda) ed è vero oggi quando si parla di collaborazione per garantire l’integrità dei dati. Come la banda larga (quando era considerata un lusso) ha spinto i sistemi di condivisione, oggi la presenza di infrastrutture solide permette di offrire quelle garanzie indispensabili per rafforzare i nodi di un sistema decentrato che deve ancora crescere.

Insomma: chiunque guardi a nuovi orizzonti farebbe bene a tenere presente che la blockchain non è il classico “uovo di Colombo” che consente di garantire il risultato senza gli investimenti necessari. Tutt’altro. È l’occasione (questo sì) di ottimizzare le logiche e i processi che sottendono alle infrastrutture, ma prenderlo come alibi per ridurre gli investimenti in infrastrutture rischia di sortire effetti indesiderati. Primo tra tutti, frenare un processo che, a oggi, è terribilmente promettente.

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