Infrastrutture e affidabilità: il 99% non basta

Nell’era del cloud e dei servizi erogati via rete, l’attenzione delle aziende si sta concentrando prestazioni e flessibilità. Certo, entrambi rappresentano fattori abilitanti, ma quando si parla di infrastrutture di rete, per i responsabili IT il focus principale rimane quello dell’affidabilità.
Il motivo è semplice: se le performance possono essere migliorate anche attraverso scelte alternative (per esempio sulle tecnologie software adottate) e la flessibilità rimane un vantaggio “interno”, il tema dell’affidabilità porta con sé lo spettro di un’interruzione della business continuity che si traduce immediatamente in un danno terribilmente tangibile.
Ecco perché, nella definizione dei livelli di affidabilità (o resilienza) è indispensabile puntare in alto. La logica dei numeri, in questo senso, non ci deve ingannare. Un sistema che garantisce una resilienza del 99%, apparentemente sembra sodisfare le esigenze di un’azienda.
Per un’attività che opera 24/7, però, la perdita di quel uno per cento si traduce in 87,6 ore di attività perse, poco più di tre giorni e mezzo. Non solo: oltre al danno “puro”, quantificabile cioè nella mancata produzione, vendita o erogazione di servizi (ricerche indipendenti hanno quantificato le perdite per outage di rete negli USA in 1,7 miliardi di dollari all’anno) va considerato il danno reputazionale che ne consegue.
Ogni “down” dei sistemi si traduce, infatti, in una perdita di fiducia da parte di clienti, fornitori e partner commerciali e in una corrispondente perdita di competitività. 
Insomma: nella progettazione, evoluzione e gestione delle nostre infrastrutture, l’aspetto dell’affidabilità (sia a livello di ridondanza dei sistemi, sia a livello di disponibilità di servizi che garantiscano la resilienza delle infrastrutture) dovrebbe essere sempre in cima alla piramide delle priorità.

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