Cosa possiamo imparare dal “caso DAZN”?

Tanto tuonò, che piovve: dopo mesi in cui la stampa ha riportato preoccupazioni per il passaggio su piattaforma streaming delle dirette delle partite di calcio di Serie A, le polemiche sono definitivamente esplose con la prima giornata di campionato.

A finire sul banco degli imputati è stata DAZN, messa all’indice dai numerosi (?) utenti che hanno avuto problemi di visualizzazione nel corso delle trasmissioni online. Addirittura, a quanto pare, la vicenda potrebbe avere un seguito con un’interrogazione parlamentare promossa da numerosi deputati e senatori.

Di suo, la piattaforma ha negato di aver avuto problemi, se non un “picco” a livello di uno dei CDN (Content Delivery Network) cui affida la trasmissione.

Ed è qui che emerge il vero problema: se dalle parti di DAZN non hanno registrato problemi, com’è possibile che un nutrito gruppo di spettatori abbia segnalato disservizi?

La risposta arriva direttamente da una delle ultime ricerche di Fairey, che ha messo in evidenza come l’Italia, all’interno dell’Unione Europea, garantisca ai cittadini una connessione Internet tra le peggiori nel continente, con un valore mediano di 23 Mbps.

Se consideriamo che per visualizzare uno streaming in HD serve come minimo una connessione con capacità di download di 6 Mbps, è evidente che il problema non riguarda il fornitore di servizi, ma le infrastrutture su cui poggiano gli utenti.

Insomma: chi opera in Italia, oggi, deve adottare un approccio strategico che tenga conto del contesto in cui si muove. Non si tratta di un ostacolo insormontabile, ma in un’ottica di business continuity, il quadro nostrano ha come conseguenza quello di offrire pochissimo margine.

Per garantire una user experience adeguata o la semplice affidabilità dei sistemi, di conseguenza, è indispensabile puntare sull’adozione di tecnologie e infrastrutture innovative, che consentano di massimizzare l’efficacia dei servizi digitali.

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